Papa Benedetto XVI: catechesi sulla liturgia “lingua madre” della Chiesa (II parte)

Il Papa emerito continuava così: penso allora che queste riflessioni ci permettano
di rispondere alla domanda che ci siamo fatti all’inizio: come imparo
a pregare, come cresco nella mia preghiera? Guardando al modello
che ci ha insegnato Gesù, il Padre nostro, noi vediamo che la prima parola
è «Padre» e la seconda è «nostro». La risposta, quindi, è chiara: apprendo a
pregare, alimento la mia preghiera, rivolgendomi a Dio come Padre e pregando-con-altri,
pregando con la Chiesa, accettando il dono delle sue parole,
che mi diventano poco a poco familiari e ricche di senso. Il dialogo che
Dio stabilisce con ciascuno di noi, e noi con Lui, nella preghiera include
sempre un «con»; non si può pregare Dio in modo individualista. Nella preghiera
liturgica, soprattutto l’Eucaristia, e – formati dalla liturgia – in ogni
preghiera, non parliamo solo come singole persone, bensì entriamo nel
«noi» della Chiesa che prega. E dobbiamo trasformare il nostro «io» entrando
in questo «noi». Vorrei richiamare un altro aspetto importante.
Nel Catechismo della Chiesa Cattolica leggiamo: «Nella liturgia della
Nuova Alleanza, ogni azione liturgica, specialmente la celebrazione
dell’Eucaristia e dei sacramenti, è un incontro tra Cristo e la Chiesa» (n.
1097); quindi è il «Cristo totale», tutta la Comunità, il Corpo di Cristo unito
al suo Capo che celebra. La liturgia allora non è una specie di «automanifestazione»
di una comunità, ma è invece l’uscire dal semplice «essere
-se-stessi», essere chiusi in se stessi, e l’accedere al grande banchetto,
l’entrare nella grande comunità vivente, nella quale Dio stesso ci nutre. La
liturgia implica universalità e questo carattere universale deve entrare sempre
di nuovo nella consapevolezza di tutti. La liturgia cristiana è il culto del
tempio universale che è Cristo Risorto, le cui braccia sono distese sulla croce
per attirare tutti nell’abbraccio dell’amore eterno di Dio. E’ il culto del
cielo aperto. Non è mai solamente l’evento di una comunità singola, con
una sua collocazione nel tempo e nello spazio. E’ importante che ogni cristiano
si senta e sia realmente inserito in questo «noi» universale, che fornisce
il fondamento e il rifugio all’«io», nel Corpo di Cristo che è la Chiesa.
In questo dobbiamo tenere presente e accettare la logica dell’incarnazione di
Dio: Egli si è fatto vicino, presente, entrando nella storia e nella natura umana,
facendosi uno di noi. E questa presenza continua nella Chiesa, suo Corpo.
La liturgia allora non è il ricordo di eventi passati, ma è la presenza viva del
Mistero Pasquale di Cristo che trascende e unisce i tempi e gli spazi. Se nella
celebrazione non emerge la centralità di Cristo non avremo liturgia cristiana,
totalmente dipendente dal Signore e sostenuta dalla sua presenza creatrice.
Dio agisce per mezzo di Cristo e noi non possiamo agire che per mezzo suo e
in Lui. Ogni giorno deve crescere in noi la convinzione che la liturgia non è
un nostro, un mio «fare», ma è azione di Dio in noi e con noi. Quindi, non è
il singolo – sacerdote o fedele – o il gruppo che celebra la liturgia, ma essa è
primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa, che ha la sua storia, la sua
ricca tradizione e la sua creatività. Questa universalità ed apertura fondamentale,
che è propria di tutta la liturgia, è una delle ragioni per cui essa non può
essere ideata o modificata dalla singola comunità o dagli esperti, ma deve
essere fedele alle forme della Chiesa universale. Anche nella liturgia della
più piccola comunità è sempre presente la Chiesa intera. Per questo non esistono
«stranieri» nella comunità liturgica. In ogni celebrazione liturgica partecipa
assieme tutta la Chiesa, cielo e terra, Dio e gli uomini. La liturgia cristiana,
anche se si celebra in un luogo e uno spazio concreto ed esprime il
«sì» di una determinata comunità, è per sua natura cattolica, proviene dal tutto
e conduce al tutto, in unità con il Papa, con i Vescovi, con i credenti di tutte
le epoche e di tutti i luoghi. Quanto più una celebrazione è animata da questa
coscienza, tanto più fruttuosamente in essa si realizza il senso autentico
della liturgia. Cari amici, la Chiesa si rende visibile in molti modi:
nell’azione caritativa, nei progetti di missione, nell’apostolato personale che
ogni cristiano deve realizzare nel proprio ambiente. Però il luogo in cui la si
sperimenta pienamente come Chiesa è nella liturgia: essa è l’atto nel quale
crediamo che Dio entra nella nostra realtà e noi lo possiamo incontrare, lo
possiamo toccare. È l’atto nel quale entriamo in contatto con Dio: Egli viene
a noi, e noi siamo illuminati da Lui. Per questo, quando nelle riflessioni sulla
liturgia noi centriamo la nostra attenzione soltanto su come renderla attraente,
interessante bella, rischiamo di dimenticare l’essenziale: la liturgia si celebra
per Dio e non per noi stessi; è opera sua; è Lui il soggetto; e noi dobbiamo
aprirci a Lui e lasciarci guidare da Lui e dal suo Corpo che è la Chiesa.
Chiediamo al Signore di imparare ogni giorno a vivere la sacra liturgia, specialmente
la Celebrazione eucaristica, pregando nel «noi» della Chiesa, che
dirige il suo sguardo non a se stessa, ma a Dio, e sentendoci parte della
Chiesa vivente di tutti i luoghi e di tutti i tempi. Grazie.

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