SINODO DIOCESANO 2017 (1^ parte)

Come molti forse sapranno, la nostra chiesa è entrata in “Cammino Sinodale”
che ci vedrà coinvolti in varie articolazioni fino a novembre di quest’anno. Cosa
sia, ce lo facciamo dire dallo stesso Vescovo Agostino, riprendendo la lettera
inviata a tutta la chiesa di Treviso per l’occasione.
CHE COSA SI DEVE INTENDERE PER “CAMMINO SINODALE”?
Inizio dall’aggettivo Sinodale, che in questo caso è più importante del sostantivo
Cammino. Sinodo è parola greca che significa “cammino insieme”. Applicato
ad una Chiesa particolare, questo “insieme” non significa genericamente
qualcosa che viene svolto con il contributo di più persone; significa, più precisamente,
che vi devono operare persone che appartengono alle diverse componenti
della Chiesa e la rappresentano, e che dunque, idealmente, ha per protagonista
tutta la Chiesa: vescovo, presbiteri, diaconi, religiosi ed altre persone consacrate, laici. È questo che si vuole intendere quando si dice che la Chiesa
deve (dovrebbe) agire “in maniera sinodale”. Può essere utile riprendere qui
alcune espressioni usate da papa Francesco per illustrare il senso
dell’aggettivo sinodale: «La sinodalità, come dimensione costitutiva della
Chiesa, ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso
ministero gerarchico. L’espressione “ministero gerarchico” indica il compito
proprio del papa e dei vescovi, i quali operano con la collaborazione dei
presbiteri e anche dei diaconi. – perché la Chiesa non è altro che il
“camminare insieme” del Gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo
Signore – capiamo pure che al suo interno nessuno può essere “elevato” al
di sopra degli altri. Al contrario, nella Chiesa è necessario che qualcuno “si
abbassi” per mettersi al servizio dei fratelli lungo il cammino». Per il Papa
«una Chiesa sinodale è una Chiesa del l’ascolto, nella consapevolezza che a- scoltare “è più che sentire”. È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa
da imparare».
Dunque sinodalità è – per usare un’immagine molto semplice – il mettersi seduti
in cerchio, con atteggiamento e stile fraterni, in un rapporto in cui risalta
l’uguaglianza, dove ognuno può parlare e tutti meritano di essere ascoltati; e se
qualcuno coordina o offre indicazioni per il comune dialogo, lo fa esercitando
un servizio e non un potere. Ma in quali circostanze, in particolare, si deve
praticare questa sinodalità, o questa maniera sinodale di agire nella Chiesa?
Per rispondere, pensando soprattutto al nostro Cammino Sinodale, richiamo un
breve brano della Lumen gentium, il grande documento conciliare sulla Chiesa.
Vi leggiamo al n. 9: «Dovendosi essa [la Chiesa] estendere a tutta la terra,
entra nella storia degli uomini, benché allo stesso tempo trascenda i tempi e i
confini dei popoli, e nel suo cammino attraverso le tentazioni e le tribolazioni è
sostenuta dalla forza della grazia di Dio che le è stata promessa dal Signore, affinché
per la umana debolezza non venga meno alla perfetta fedeltà ma permanga
degna sposa del suo Signore, e non cessi, con l’aiuto dello Spirito Santo, di
rinnovare se stessa, finché attraverso la croce giunga alla luce che non conosce
tramonto».
È un testo dal periodare incalzante, che toglie il respiro; ma a leggerlo lentamente
e con attenzione vi si ritrova la suggestiva immagine di una Chiesa che, mentre
cammina verso “la luce che non conosce tramonto”, abita dentro la storia degli
uomini e vi sperimenta tutta la fatica di essere fedele a quel Dio che, Lui sì, è
fedele alle sue promesse e la sostiene nella sua debolezza. Essa allora non deve
cessare di “rinnovare sé stessa”. Vorrei sottolineare questo impegno di
“rinnovare sé stessa”; il quale è effetto della forza che proviene dallo Spirito, ma
domanda anche un incessante sforzo di conversione. Tale conversione non è solo
individuale, un compito solitario, demandato ai singoli. È una ricerca e uno
sforzo comune, condotto insieme, con l’apporto di tutti: sinodale, appunto.
(continua) Mons. Gianfranco Agostino, Vescovo

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